Give Me Enough Rope

Give Me Enough Rope

martedì 27 maggio 2014

la parte maledetta


Apriì quella porta, l’aprii di scatto, con un movimento unico del braccio, era leggera, di un legno quasi come truciolato che non offrì resistenza.
E lo vidi, rimasi di stucco, pietrificato, lui sentendo la porta aprirsi si era voltato, e anche lui doveva essere stupito se pur nel suo sguardo non riconoscevo più nulla di quella persona, era quasi completamente vuoto quasi vitreo ma sapevo che non lo erano, mi concentravo sullo sguardo e riuscì a vedere quella poca di coscienza che ancora risiedeva in fondo ed era stata risvegliata dal mio gesto repentino;
Guardavo in quell’abisso che era stato illuminato di getto, adesso anche lui doveva provare un minimo di stupore, un minimo di dubbio e orrore ma forse era anche curiosità, la stessa curiosità con cui lo stavo scrutando.
Allargai la visuale, le sue dita erano avvinghiate a quella scatola “Allora, l’ha davvero fatto” pensai, compatendolo, la sua posa era incerta, molto probabilmente tremava ed era giunto a stento all’oggetto dei suoi desideri.
Rabbrividì, vidi che in quell’uomo non c’era più nulla, solo un misero rimasuglio di coscienza, lui lo capì come lo capì io, non si riconosceva, non capiva che cosa aveva fatto o cosa stava facendo e aveva paura.
Si aveva proprio paura, sarebbe voluto scappare ma era bloccato nella sua posa scomposta e innaturale.
Ebbi a ricredermi, cercai di compatirlo ma poi mi resi conto, e più guardavo il suo sguardo e più mi spostavo ai suoi lineamenti, erano confusi, rovinati come quelli di un uomo consumato dalla malattia.
Incomincai a sudare, sudare freddo, la pressione aumentava con il battito del cuore, tutto intorno a me si faceva sordo e ottavato, vicino e lontano, amplificato, finchè l’unica cosa che incominciò a girarmi intorno fu il tonfo sordo e veloce del cuore, il rumore traforava il cervello che ora girava in questo tornado di panico;
Ero io ora che volevo scappare, ero io che ora non avrei voluto aprire quell’esile porta ero io, ora a reggere la scatola con le dita scheletriche, Quell’uomo faticava a riconoscermi, quell’uomo mi guardava incuriosito e con sorpresa, la persona che avevo di fronte ero io. Io e solamente io, guardare il mio riflesso di qualcosa che ero e forse sarei stato per sempre in ogni parte di me.e che ora a confronto avevo riconosicuto e non avevo il coraggio di affrontare.

mercoledì 21 maggio 2014

The Old man

Sono sempre tra le nuvole quando cammino, sempre perso nei miei pensieri, anche quando mi ritrovavo a fare lunghe passeggiate per arrivare da un luogo all’altro.
Spesso camminavo in silenzio e in silenzio era anche la mia mente finchè un preciso dettaglio non coglieva la mia attenzione e diventava il centro dei miei pensieri per quel viaggio.
Che fosse stata una ragazza che passava, un pullman semi vuoto, una luce al neon rotta o che so io, non riuscivo a smettere di pensarci e a volte portavo avanti delle vere e proprie ipotetiche conversazioni nella mia mente.
Non sono mai stato bravo a farlo lo stesso.

E cosi camminavo, mi capitava di cambiare strada ogni tanto, ma molto spesso facevo sempre la solita, è incredibile di quante cose si possono notare passando per più giorni di seguito alla stessa ora in un dato posto, scopri delle vere e proprie routine di certe persone.
Le giornate si alternavo, alcune brutte alcune belle, ogni tanto ero un po’ in ritardo ogni tanto ero puntuale, quello che mi colpì fu il vedere un uomo anziano sedersi alla solita ora sulla stessa panchina per una 20 di minuti, ebbi modo di notare questo a seconda del ritardo o della puntualità che avevo.
Forse pensavo o speravo che quest’uomo avesse una storia strappa lacrime da raccontare:
“Salve, scusi se la disturbo, ma ho notato che si siede sempre su quella panchina ogni giorno alla stessa ora e non ho potuto fare a meno di chiederle il motivo”
“Vedi giovane ragazzo, è in questa panchina a quest’ora che ho conosciuto mia moglie, ci ha lasciati 3 anni fa”

Non ebbi nemmeno mai modo di vedere il suo volto che io ricordi, un po’ il sole primavire e un po’ la miopia, c’era anche quel cappello e quegli occhiali da sole se non ricordo male, ricordo è una parola che perde di significato quando la lasciamo morire il momento contenuto un essa.

Non gli parlai mai, non ho mai saziato la mia curiosità, sperai solo che fosse un motivo più felice.
Da vecchio, se mai riuscirò ad arrivarci, mi sceglierò una panchina, e starò lì 20 minuti a godermi la brezza primaverile che passa tra i fiori, se qualcuno mi chiederà mai qualcosa, risponderò loro con: “Conoscevo un vecchio che ogni giorno stava 20 minuti sulla solita panchina” e al loro perché risponderò: “Non l’ho mai saputo”.

(poi mi ritroverete alla neuro)

lunedì 12 maggio 2014

La morte dei valori

Ci si accorge che in questo mondo i valori stanno scomparendo prendendo in esempio quella che dovrebbe essere il massimo esponente di essi, la Giustizia.
La giustizia qua in Italia non funziona, è chiaro e logico considerando la corruzione e la voglia che ci ha sempre caratterizzato.
è facile perdere la direzione in un paese oramai senza giustizia e mi capita di sentire (devo dire a volte anche giustificati e comprensibili) commenti di tutti i colori.
Ma quando sento certo commenti troppo Xenofobi o degni dell’assolutismo, penso davvero alla stupidita delle persone, che non hanno mai imparato niente dal passato.
La giustizia non è solo mera aderenza alle leggi, è ma un insieme di valori come correttezza, equità e moralità.
Tyr Dio della guerra e della giustizia della mitologia nordica “ci ha lasciato” un insegnamento:
Fenrir il lupo destinato a inghiottire la terra era diventato talmente potente da far preoccupare Odino e gli altri Dei, escogitarono un piano, con la scusa di sottoporre Fenrir a una prova di forza provarono a incatenarlo, due volte senza riuscirci.
Allora con un magheggio, si fecero costruire dai nani una corda magica, fine ma resistentissima;
Fenrir subodorando una trappola, chiese che li venisse messa tra le fauci una mano, che avrebbe mozzato in caso di trucco.
Tyr sapeva che avrebbe perso la mano, ma sapeva anche che era l’unico metodo per intrapporarlo e in fondo sapeva che anche Fenrir aveva diritto a quella cosa chiamata giustizia.

Tyr non ci ha insegnato a essere maoschisti, Tyr ci ha insegnato che spesso, la giustizia non è comoda e si garantisce impegnandoci in prima persona, pagandola a caro prezzo.
Ci insegna che è facile parlare al vento e lasciarsci andare a mere conclusioni spicce ma che la vera importanza della giustizia si capisce quando ci coglie da vicino, quando ci tocca sul personale e quando spesso perdiamo una parte di noi.
Le persone stanno perdendo tutto questo, le persone stanno cadendo in un trabochetto, nella rete di certe persone che non hanno altro che interessi a impregnare le persone di becero qualunquismo e a spogliarla di qeullo che ci fa comportare meno da bestie, che è purtroppo la nostra natura.

martedì 6 maggio 2014

E continuerà ad andare avanti…

Una volta portavo sempre il mio cappello, una volta portavo sempre un cappello, anche di notte.
Il motivo vero, inutile dirlo, non l’ho detto mai… tutto.
“Si, mi dà noia il sole”, “La luce mi dà noia alla vista”, “Oramai è una mia abitudine, un simbolo, quando vedi un cappello nella folla vuol dire che sotto ci sono io”;
In verità, portavo un cappello per <b>nascondermi</b>, da chi o da cosa? non ha importanza, quello che volevo era nascondermi, perchè solo da nascosti si può osservare il mondo.
Eh io il mondo l’ho osservato e lo osservo, l’ho ascoltato e l’ascolto, non ho più il cappello, e nemmeno i capelli lunghi a coprire il volto (quasi mai), mi basta essere per osservare, sedermi, passarti accanto, diciamo che sono passato al Next Level ed ora è una mia abilità naturale, diciamocelo pure, passare inosservato o quasi.
Bene cosi, torna meglio al mio tornaconto, all’idea stupida che mi ero e che mi sono fatto, a quella malasana idea che ad ascoltare il mondo tu possa arrivare a capirlo.
Secoli di storia e di filosofi non mi sono serviti a nulla, ognuno a cercare la propria risposta, ad oggi nemmeno pervenuta ai più.
Ma tutte queste sono chiacchere, mere scuse, la verità è che io non riesco più a capirlo il mondo, si è dato delle regole (o gliel’hanno date…..) che per me sono scritte in una lingua sconosciuta e della quale provo rigetto, ribrezzo.
La verità è che non voglio più osservarlo il mondo… già non lo voglio ma sono solo uno schifoso drogato, perchè non è altro che questa, una dipendenza la mia, quella di voler capire di voler pensare e forse di non voler cambiare.
Mentre il mondo, la gente cambia, Oh si se cambia, continuerà a cambiare continuerà a farlo sempre.
Allora mondo, continua pure tu, vai avanti e cambia, ma non contare anche me.